Tridente Belmonte, l'ex tecnico Cavallotti "Le mie dimissioni, ecco perchè..."

Pietro Cavallotti dopo questa nostra intervista si era messo a disposizione del calcio belmontese, ecco il perché delle sue dimissioni da allenatore raccontato in una lettera.

Riceviamo e pubblichiamo integralmente una dichiarazione dell'ex tecnico dimissionario della Tridente Belmonte, Pietro Cavallotti:

Ringrazio anticipatamente per l'attenzione.

Per comprendere i motivi delle mie dimissioni occorre ricordare gli eventi più importanti che hanno segnato il corso della squadra e le ragioni per le quali ho ricoperto, fino a qualche settimana fa, il ruolo di allenatore.

La squadra nasce dall'idea di un gruppo di ragazzi desiderosi ti risollevare le sorti del calcio belmontese, caduto in disgrazia nel recente passato vuoi per questioni legate alla crisi economica vuoi, e piú decisamente, per la mancanza di una mentalità sportiva adeguata che segna in negativo il nostro Paese. All'inizio dell'anno calcistico mi trovavo tra le fila dello Skanderberg Piana, in compagnia del mio compaesano Crini, quando alcuni amici che stavano lavorando al progetto di un calcio nuovo a Belmonte Mezzagno, mi invitano a lasciare la squadra dove allora militavo pretendendo il mio rientro in Paese. Attratto da un positivo spirito di renovatio che sta attraversando la nostra cittadina nella quale qua e lá giovani, indipendentemente dalla politica, si associano in maniera disinteressata e organizzano feste patronali, gare di go-Kart cittadine per migliorare la qualità della vita del paese, decido di accettare la proposta pensando di dare il mio contributo a tale rinascita nel ruolo che so meglio ricoprire: quello di giocatore. Apprendo l'impossibilità da parte dei dirigenti di individuare una figura di allenatore: Filippo Chinnici, attuale CT nonché mio carissimo amico, rinunciò alla proposta (che giá allora gli era stata rivolta) per motivi legati al suo lavoro e, a detta dei dirigenti, perché ritenne che i ragazzi allora a disposizione non fossero in grado di produrre qualcosa di vicino a un calcio discreto, manifestando la necessità, al fine di evitare brutte figure in campo, di incrementare la rosa con altri giocatori che avrebbero dovuto rimpiazzare coloro i quali erano presenti (richiesta che fu negata dai dirigenti stessi). M si chiede, pertanto, di ricoprire il ruolo di allenatore. Essendomi messo a completa disposizione della società, accettai l'ingrato compito con dedizione e professionalità cominciando dal principio a lavorare tra mille difficoltà al fine di ridurre con metodi di allenamento imperniati sul concetto di professionalità, rispetto di regole condivise, il GAP tecnico, atletico, tattico e, soprattutto, mentale che i miei giocatori lamentavano, con la conseguenza che sono riuscito a portare un gruppo di ragazzi che di calcio sapevano ben poco, e che tutti davano per spacciati, ad occupare il secondo posto della classifica.

RAGIONI DELLE DIMISSIONI

Fin dall'inizio ho percepito i reiterati tentativi di ingerenza nelle competenze dell'allenatore da parte dei dirigenti che si sono concretizzati in: tentativi di ridurre il numero degli allenamenti settimanali da tre a due, tentativi di ridurre la durata e la intensità delle singole sedute di allenamento, tentativi di determinare, addirittura, la formazione. Questi tentativi dipendevano forse o dalla mia giovane età, o forse e più semplicemente, dalla sconoscenza delle più basilari regole che presiedono al buon funzionamento di una società sportiva.

Dal principio si é manifestata una presenza sporadica dei dirigenti agli allenamenti, dirigenti che, pur avendosi dato come obiettivo la vittoria finale, hanno dimostrato disinteresse e disprezzo nei confronti del sistema di allenamento che io stavo, con successo, portando avanti, ed invitandomi ad abbandonare la professionalità propria di altre categorie ed abbracciare la mediocrità, l'approssimazione della terza categoria. Più volte é capitato che l'allenatore ha dovuto ricoprire il ruolo di custode.

I tentativi di ingerenza raggiungono l'apice della loro intensità quando, in occasione della trasferta di Piana degli Albanesi, accadde qualcosa che mai credevo potesse verificarsi, una cosa che nel gioco del calcio mai é successa prima: i dirigenti stravolsero la distinta che io avevo dato loro, mettendo in campo una formazione diversa da quella che io avevo immaginato e "dirigendo" loro stessi i ragazzi dalla panchina. Il risultato fu una delle partite peggio giocate e la misera sconfitta. Questo motivo da solo spingerebbe qualsiasi allenatore che abbia un po' di rispetto per se stesso a rassegnare immediatamente le dimissioni. Nonostante ciò, ho gettato il cuore oltre l'ostacolo e sono rimasto dietro richiesta dei ragazzi che avevano percepito la gravità della cosa per portare avanti il nobile progetto in cui io credevo. Ottenni in quella occasione la promessa da parte dei dirigenti che a partire da quel momento non avrebbero invaso più l'ambito delle competenze dell'allenatore. Promessa che, tuttavia, non é stata mantenuta. I tentativi di condizionamento non sono mai terminati, ma hanno continuato a manifestarsi in maniera più o meno evidente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso é stata la chiamata ricevuta da uno dei massimi dirigenti il giorno 3 del mese corrente, in cui il mio interlocutore ha preteso di attribuire al sottoscritto ed ai dirigenti la responsabilità per il fatto che, il giorno prima, al termine dell'allenamento le luci delle torri del nostro impianto sportivo fossero rimaste accese e i cancelli dello stesso aperti, imponendo contestualmente l'annullamento dell'allenamento in programma per quel giorno. C'è da chiedersi in quale altra società sia compito dell'allenatore o dei giocatori provvedere alla chiusura dei cancelli o alla disattivazione dell'interruttore generale. Va precisato che, se avessi saputo che i dirigenti non avrebbero provveduto alla cura del campo, quella sera mi sarei di certo impegnato in prima persona, come altre volte ho fatto, per evitare che quello sciupo di danaro pubblico avvenisse.

Per la impossibilità di portare avanti una idea nobile di calcio che cozza contro antiche e inestinguibili abitudini belmontesi, per l'arroganza di taluni dirigenti che hanno scaricato a ridosso dell'allenatore la loro incompetenza, intesa non come sinonimo di stupidità quanto piuttosto intesa come non conoscenza del calcio, avendo già provato in precedenza a sopportare i sopra descritti comportamenti, ho rassegnato per coerenza le mie dimissioni.

Pietro Cavallotti

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