A Belmonte la cultura non è un lusso, è una necessità.



La cultura non è un lusso, è una necessità                  Gao Xingjian, La montagna dell'anima, 1989


Se guardiamo alla nostra comunità e a quanto è stato fatto in termini di opere pubbliche nell’ultimo ventennio l’una e sola cosa ottima e ben funzionate è la biblioteca comunale, un piccolo tempio della cultura, del saper fare e dell’amore. E’ l’una e sola entità istituzionale che emana calore in questa valle desolata, lo emana perché chi ci lavora la ritiene casa propria, un bene da proteggere, lo è perché riempie un vuoto, da pienezza alle ricerche di piccoli e adolescenti. Lo è perché è stata in grado di stare al passo con i tempi e di portare la rivoluzione della banda larga a portata di tutti piccoli e non, anche di chi non può permettersi un abbonamento con le compagnie telefoniche. E’ un servizio al cittadino, unico ed insostituibile.


Eppure si consente di definirlo non prioritario, “servizio periferico” e si consente di spegnere la luce, quella poca che serve per rimanere aperti sino alle 8 di sera con 4 pc accesi.


Così come per Cesare Zavattini[1] “ per me cultura significa creazione di vita”, per me cultura vuol dire dare una possibilità, offrire un’alternativa ed oggi non possiamo permetterci di stare 100 giorni senza luce nell’unico centro culturale del paese, sono 100 giorni persi per una generazione che ha bisogno di correre, di apprendere, perché domani sarà chiamata a guidare una famiglia, sarà chiamata a delle responsabilità come cittadino e come essere umano. Dovrà proteggere se stesso e gli altri dall’inquietudine della massificazione, dovrà contribuire ad un miglioramento necessario che non può e non deve essere arrestato.


Da piccoli rimangono segni indelebili, come a me rimangono le immagini della strage di Capaci segno di uno stato che non c’era e non c’è tutt’ora, oggi lasciamo a loro il segno di un’amministrazione non in grado di accendere quattro lampadine, di un sistema “giustizia” che consente buchi da 1 milione di euro solo alla voce ENEL e senza che alcuno ne paghi le conseguenze, senza che alcuno muova un atto di accusa, senza che alcuno rimborsi e con le devastanti conseguenze sociali che un operare così incosciente ha generato. Ed è a mio parere ancor peggio dell’assenza dello Stato, perché se non c’è il “comune”, così geograficamente vicino figuriamoci lo Stato o l’UE…


Chi si prende queste responsabilità ?  Saranno come noi, diranno “tanto non cambia nulla” , “munnu a statu  e munnu sarà”!


100 giorni sono già troppi ma non tanto per il fatto in sé, grave si, ma per il risvolto sociale che ha avuto “nei grandi” di questa cittadina, un risvolto NULLO, nulla si muove, questa è la morte della cultura. Un disinteresse procrastinato sino all’auto distruzione.


Della cultura ne sottovalutiamo la forza, spesso eretica e necessaria che possiede. Devono manifestare i bambini ? Ma ci guardiamo intorno? E’ tutto spento se osserviamo per bene, c’è un moto perpetuo biologico, “si tira a campare” senza sperare ed osare al meglio. La nostra diligenza viaggia senza meta perché non comprendiamo i meccanismi che ci governano, perché non siamo stati in grado di creare modelli relazionali con le cose che ci stanno attorno e coi poteri visibili e non che ne determinano l’agire.


Vogliamo un mondo migliore ? Si per la miseria! E allora dobbiamo innaffiare l’albero della vita, innaffiare i nostri semini che diverranno adulti e certamente più preparati alla sfida del cambiamento che passa prima di tutto per la comprensione di sé e del mondo, ma senza stimoli alla cultura faremo solo passi indietro, è naturale che ciò accada.


Diceva Karl Kraus[2] “Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l'aspetto di giganti.”, ed i giganti di oggi pur essendo così brutti dimostrano di fare ciò che gli pare e piace pur di rimanere tali, così lontani, potenti, incomprensibili e sempre con la scusa pronta.


Dobbiamo consentire alle nuove leve di poter essere ciò che vogliono avendo la consapevolezza della responsabilità che ogni singola azione comporta, di poter lottare alla pari, da giganti a giganti e poi si vedrà, se sono rose fioriranno.


“Una biblioteca potrebbe essere una polveriera.”[3] ma magari, magari…


È allora chiediamo con forza all’attuale amministrazione di dare immediato riscontro risolutivo ad un esigenza improcrastinabile se si ritiene la cultura strategica al benessere collettivo, si faccia qualsiasi cosa anche “carte false” ma il servizio deve essere garantito, spostate l’internet point in locali serviti da corrente elettrica…fate un nuovo contratto intestato ad un prestanome, fate ciò che dovete, concordate un pagamento dilazionato del debito pregresso o a mali estremi, estremi rimedi, fate staccare la luce al centro anziani e diamo luce al futuro, i giovani.

Il malcontento è il primo passo verso il progresso.”[4]

A un certo punto non fu più la biologia a dominare il destino dell'uomo, ma il prodotto del suo cervello: la cultura.[5]





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