Verso il Compleanno di Belmonte Mezzagno ( seconda parte )
( di Salvatore Migliore )
A beneficio di quanti desiderano coltivare il proposito di prepararsi all’appuntamento per il compleanno del nostro paese, così come da impegno assunto nella mia precedente riflessione sul tema, propongo un contributo sulla storia di Belmonte, recuperato dalla mia pubblicazione: su Belmonte Mezzagno – Storia - Prospettive.
A beneficio di quanti desiderano coltivare il proposito di prepararsi all’appuntamento per il compleanno del nostro paese, così come da impegno assunto nella mia precedente riflessione sul tema, propongo un contributo sulla storia di Belmonte, recuperato dalla mia pubblicazione: su Belmonte Mezzagno – Storia - Prospettive.
Nascita di Belmonte
La nascita del nostro paese si fa risalire al
17 aprile 1752, data in cui Giuseppe Emanuele Ventimiglia ottenne dal re Carlo
III la licentia populandi,
l’autorizzazione, cioè, a popolare il feudo Minzagno con un piccolo nucleo di abitazioni situato
nel bagghiu (oggi Piazza martiri
d’Ungheria)
In quel tempo, il territorio
di Belmonte, volgarmente chiamato "feudo del Minzagno", era
costituito dalle contrade Cannizzola, Finocchiara, Montagnoli, Iazzermo, dal feudo di S. Caterina e dal loco
di Pitrosino. I luoghi più coltivati erano quelli che costeggiavano i due
torrenti che attraversavano il feudo.
Il territorio
era privo di insediamento urbano. Vi erano poche case, sparse nei luoghi di
maggiore interesse per le coltivazioni e, precisamente, una casa nel loco di
Pitrosino, un’altra in contrada Cannizzola e un’altra in contrada Finocchiara.
Poco distante, in contrada Placa vi era un baglio di case, che pare risalissero
al tempo dei Saraceni (VII-VIII secolo).
Da notare che allora il loco
della Placa, pur appartenendo al territorio di Belmonte, non faceva parte del
feudo del Mizzagno così come il feudo del Casale.
Da queste poche notizie vengono sollecitate
quattro curiosità che riguardano: u bagghiu, Giuseppe Emanuele Ventimiglia,
Carlo III e licentia populandi, che mi
pare opportuno soddisfare.
Bagghiu – Baglio
Il luogo ha un’importanza storica notevole
per il nostro paese, per cui più che una curiosità è un’esigenza culturale
conoscere qualche dato in più per capirne meglio la funzione.
Intanto, la sua etimologia non sembra
orientare verso un solo significato. Gli studiosi hanno elaborato quattro ipotesi:
-
dal latino ballium che significa cortile;
-
da balarm che significa fortezza;
-
luogo in cui
esercitava il suo ufficio il Baiulo (dal latino baiulus,; significa
"facchino"- in epoca medievale ha significato una specie di
magistrato)
-
dall’arabo bahah che significa cortile.
In tempi più
recenti in Sicilia, con baglio si indica il cortile interno delle
masserie.
Il baglio, oggi Piazza Martiri d’Ungheria,
per un lungo periodo è stato animato da diverse piccole attività
imprenditoriali.
Un frantoio, prima a trazione animale e dagli
anni ’40 a trazione elettrica, per diversi mesi dell’anno (Ottobre –
Gennaio/Febbraio) è stato, per tanto tempo, il protagonista di quella zona.
Cominciava con la pigiatrice per macinare l’uva e proseguiva con il frantoio
per la molitura delle olive. A volte, per un certo periodo, le due attività si
sovrapponevano. Ricordo lo spiazzo antistante, u bagghiu appunto, sempre pieno di carretti e di animali, durante la
vendemmia. Trasportavano l’uva e poi il mosto da mettere nelle botti sistemate
in casa o in un magazzino o in una
pagliera. Ragazzino, mi piaceva assistere a queste operazioni anche perché vi
era spesso qualche aspetto per me piacevole. Durante la pigiatura dell’uva, mio
padre nell’ordinare l’uva nell’imbuto
della pigiatrice me ne passava qualche bel grappolo con la piacevole
compiacenza del proprietario che vedeva “u
picciriddu” accontentato.
La molitura delle olive comportava anche
un’attività, si direbbe oggi h 24, soprattutto nelle annate ricche. Era
piacevole stare dentro il frantoio, dove nei momenti di maggiore rigidità della
temperatura si faceva qualche focherello. Affascinavano, poi, le operazioni che
riguardavano: la pulitura manuale delle olive, lo schiacciamento nella macina
ad opera di due grosse ruote azionate da un motore elettrico, quindi, l’uscita
della poltiglia in una conca. Qui, venivano riempite le coffe, sistemate, poi,
dentro un cilindro della pressa la quale, una volta azionata, faceva uscire
l’olio e l’acqua canalizzati, a loro volta,
nelle vasche sotto terra. Da qui l’operazione più importante: la
raccolta, con l’aiuto del tazziaturi,
dell’olio sino a sfiorare l’acqua che, per questione di peso, si posava sotto
l’olio. Tutto questo era accompagnato da piacevoli conversazioni, impreziosite
da fattarelli che, spesso, avevano il sapore di barzellette. Qualche volta
s’inseriva il cerimoniale delle guastelle. All’alba, giravano per le vie del
paese ragazzi con ceste piene di guastelle, confezionate qualche momento prima
nel forno a legna, ancora calde, coperte
da tovaglie o da scialli per mantenerle calde. Il venditore mattutino annunciava
la sua presenza con un mai dimenticato: “i
vasteddi cavuri cavuri”. Ricordo i fratelli Pippineddu e Lorenzo Romano, i
più assidui venditori. Ne ricordo ancora l’immagine sempre sorridente. Nessuno
riusciva a sottrarsi dalla tentazione di consumarle condite con olio pungente
appena uscito dalle coffe e con qualche acciuga o altro prezioso condimento
come le spezie. Per noi ragazzi, partecipare a questa attività che si svolgeva
in ore impossibili, era quasi un premio che ci dava tanta allegria.
Per diversi anni quel locale è stato pure al
centro di un’attività imprenditoriale importante: quella della confezione del crinu.
Vi era un movimento intenso di animali che portavano a ddisa, materia prima per quell’attività.
Diversi operai e fra questi anche qualche donna, attendevano a tutte le operazioni
necessarie per confezionare il prodotto che, poi, con il carretto veniva
portato a Palermo.
Altra attività è stata pure il commercio del
sommacco, della paglia e del fieno che aveva sempre i locali del frantoio come
sede.
Uno stallone per le mucche e, poi,
l’esercizio di un fabbro, completavano il panorama delle attività che animavano
U BAGGHIU.
Tanti altri ricordi della mia fanciullezza e
della mia adolescenza mi legano a questo luogo.
Oggi u
bagghiu, anche per il rifacimento della pavimentazione e perché poco
trafficato, è un luogo per incontri di spettacolo, di politica e di cultura. Le
case sono quasi tutte adibite a civile abitazione, ad eccezione di una, dove ha
sede il rinomato ristorante Italiano.
Licentia populandi
La licentia populandi era una concessione che
il re del Regno di Sicilia faceva a baroni o feudatari per popolare il feudo di
loro proprietà. In contemporanea, o prima, veniva concesso il privilegium
aedificandi ossia il permesso di costruire il borgo, che spesso avveniva
nel luogo di una preesistente residenza feudale, castello o baglio.
Altro privilegio che veniva concesso ai
nobili prima ricordati era quello di entrare a far parte del Braccio baronale
del Parlamento.
Al raggiungimento di un minimo di 80
famiglie, i centri diventavano comuni e tra questi vanno ricordati, oltre a
Belmonte, Villafrati, Valledolmo, S. Giseppe Jato, Marineo, Resuttano (CL),
Aragona (AG).
Diversi comuni festeggiano gli anniversari
della concessione delle autorizzazioni, con pubbliche manifestazioni.
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