La storia allucinante dei fratelli Cavallotti di Belmonte Mezzagno
estratto da I Siciliani Giovani aprile 2014 n°19
Beni Confiscati: così non funziona
di Salvo Vitale, Pino Maniaci, Christian Nasi
Beni Confiscati: così non funziona
di Salvo Vitale, Pino Maniaci, Christian Nasi
La Comest
Quella dei fratelli Cavallotti di Belmonte Mezzagno è una storia
allucinante. Sono cinque fratelli che, negli anni ‘90 cominciano a lavorare per
alcune aziende legate al nascente affare della metanizzazione in Sicilia. Fiutano che c’è in ballo un fiume di miliardi in arrivo,
si parla di 400 miliardi delle vecchie lire, specialmente da parte della
Comunità Europea, che li affida alla Regione e decidono di mettersi in proprio, ognuno con una propria azienda relativa a uno specifico settore. E’
tutto in ordine, partecipano ai bandi della Regione, hanno i requisiti
richiesti, cominciano ad avere numerosi appalti, specie nelle Madonie, con la
clausola del possesso di una gestione trentennale, per poi tornare tutto all’Ente
Committente, cioè ai comuni.
Sul mercato nasce, a far concorrenza a loro l’Azienda Gas spa, per
iniziativa di un impiegato regionale, di nome Brancato, il quale chiede, per
fondare la società, i soldi a Vito Ciancimino, allora all’apice della carriera
politica: Ciancimino si serve di un suo commercialista, Lapis, legato ai più
discussi politici siciliani, da Cintola a Vizzini: viene stipulato, con l’avallo,
a Mezzoiuso, dell’allora Presidente della Commissione Antimafia Lumia, un
protocollo di legalità e si aprono le porte per gli appalti: unico ostacolo la
Comest e le altre aziende dei fratelli Cavallotti, ma si fa presto a metterli
fuori gioco: Belmonte è la patria di Benedetto Spera, uno dei più temuti
mafiosi legati a Bernardo Provenzano: attraverso il collaboratore di giustizia Ilardo, infiltrato appositamente, viene trovato un “pizzino” nel
quale, con riferimento a un appalto ottenuto ad Agire, è scritto: “Cavallotti
due milioni”. Si fa presto a incriminare i Cavallotti, che, come tanti pagavano
il pizzo, per associazione mafiosa, e a far disporre il sequestro di tutti i
loro beni. Siamo nel 1998, allorchè Vito Cavallotti viene arrestato per reati
legati al 416 bis, da cui, nel 2001 viene assolto. Dopo che nel 2002 la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza con una condanna e dopo
una serie di vicende processuali, nel 2011 Vito Cavallotti è
assolto definitivamente e prosciolto da ogni accusa, ma, qualche mese dopo, nei suoi
confronti scattano altre misure di prevenzione personale e patrimoniale, sino
ad arrivare al 22.10.2013, allorchè il PG Cristodaro Florestano propone il
dissequestro dei beni e la sospensione delle misure di prevenzione
nei confronti di tre dei fratelli Cavallotti: ad oggi le motivazioni della sentenza
non sono state ancora depositate. All’atto della prima denuncia viene nominato come
amministratore giudiziario un
certo Andrea Modìca di Moach, il quale già dispone di altre nomine da parte del
tribunale , oltre che essere il terminale di altre aziende, tipo la TOSA, di
cui si serve per complesse partite di giro, sino ad arrivare all’Enel gas. L’ammontare
dei beni confiscati è di circa 30 milioni di euro , ma ben più alto è il valore
di quello che i Cavallotti avrebbero potuto incassare nei lavori di
metanizzazione dei comuni, mal’azienda
non è stata ancora dissequestrata, malgrado siano passati quasi tre anni, anzi,
per, viene confiscata una nuova azienda di uno dei fratelli, che si è spostato a
Milazzo e nel dicembre 2013 estrema beffa,
viene disposto un nuovo sequestro ad un’azienda creata dal figlio, nel
tentativo di risollevare la testa, la Euroimpianti plus, e l’amministrazione
giudiziaria, revocata al Modìca, viene affidata a un certo Aiello,
che si rifiuta di far lavorare in qualsiasi modo, il ragazzo titolare, la cui sola
colpa è di essere figlio di uno che è stato indagato, condannato e poi
prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa.
Gli
ultimissimi sequestri riguardano un complesso di aziende edili di Vito
Cavallotti, figlio di Salvatore, la Energy clima, la Sicoged la Tecnomet e la
Ereka CM, una parafarmacia già chiusa dal 2013. La prima
seduta svoltasi il 30.1.2014 è stata rinviata nientemeno che al 22.5 per
ritardo di notifica. Tutto ciò malgrado la proclamata innocenza dei Cavallotti.
. Per non parlare della rovina nella quale si sono trovate circa
300 famiglie che ruotavano attorno alle aziende. Rimane ancora senza risposta la domanda di questa gente: perché questo
accanimento? E il motivo è forse da ricercare nell’ingente somma che il
tribunale
dovrebbe pagare per risarcire queste imprese che sono state smantellate da
amministratori giudiziari voraci e spregiudicati.
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