La morte di un uomo

La fine dell’avventura umana merita rispetto e compassione anche se si tratta di quella di un dittatore come Muʿammar Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhāfī detto anche Muammar Gheddafi.
La fine di un dittatore è sempre uguale: una fine ingloriosa inversamente proporzionale alla sua arroganza.  Fino a quando è al potere tutti lo ossequiano e fanno affari con lui, quando cade in disgrazia invece si lascia da solo nella polvere. Non che mi sia mai piaciuto Gheddafi come non mi è mai piaciuto Nicolae Ceaușescu, Saddam Hussein o Osama Bin Laden, ma tutti in me hanno suscitato  la stessa umana pietas.
Saddam e Gheddafi poi sono legati da un filo importante che è il petrolio, mentre gli altri due hanno un legame più politico: Ceausescu era un ostacolo per l’unione europea e lo dimostra il percorso che ha seguito la Romania una volta liberatosi del tiranno e Bin Laden, il re del terrore, è stata una pedina importante verso la riduzione delle libertà fondamentali dei popoli di tutto il mondo, occidentali in particolare.
Mai la loro fine, come quella degli altri dittatori o uomini di potere è stata legata al ben-essere delle popolazioni quanto invece ad interessi occulti che li hanno spazzati via  quando sono diventati troppo scomodi. All’orizzonte, anche vicino a noi, vedo altri nomi che nei prossimi mesi potrebbero avere la stessa sorte pur con sfaccettature diverse, ma mai accadrà per aiutare quello che soprattutto nelle democrazie occidentali si divertono ancora a chiamare “il popolo sovrano”.
Popolo che invece dovrà ritrovare da solo la sua identità e riscoprire la sua enorme forza per riprendere su di se la responsabilità delle decisioni, questa volta senza deleghe. Questa è l’unica strada per trovare il vero ben-essere e per non veder riemergere nuovi dittatori, magari meno evidenti di Gheddafi, ma altrettanto spietati e meschini che stanno dietro ai computers, seduti nei parlamenti o nei consigli di amministrazione.
Un percorso di crescita che i nuovi moti pacifici mondiali sembrano far intravedere, ma che ancora devono concretizzarsi e affermare la propria maturità per passare da un popolo bambino, a volte adolescente quale siamo, ad un popolo adulto consapevole e responsabile per la sorte di ognuno dei suoi membri.

Pierluigi Paoletti
presidente Arcipelago SCEC
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