Intervista al Prof. Massimo Costa (UNIPA) : via la sola Sicilia dall’Unione Europea








"giunge anche un momento in cui uno studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne. "
"questa Europa per noi è come appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile. Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo in tripla A, davanti agli USA."

Come hanno fatto le Faer Oer e altre regioni a statuto speciale, anche la Sicilia potrebbe stare meglio dicendo addio all’Europa. Come? Lo spiega a BlogSicilia, Massimo Costa, docente di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Palermo.


Professor Costa, cos’è questa nuova idea che ci propone? Non le sembra questa volta di esagerare con il suo autonomismo?
So che con questa uscita mi farò molte, moltissime antipatie, nemici e perdita di stima da parte di colleghi e amici e forse anche editori i quali, credo, sinora mi hanno onorato del loro rispetto. So che non sarò capito soprattutto oltre lo Stretto. Ma giunge anche un momento in cui uno studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne.
La mia idea è che non ha senso parlare di sopravvivenza economica (e quindi anche sociale, culturale, demografica, etc.) della Sicilia ovvero di “applicazione dello Statuto” dentro questa Europa. In questa Europa sottolineo, dentro “questa” Europa, e non quella che poteva avere in mente Altiero Spinelli o quella che ci hanno raccontato da ragazzi, non è possibile alcuna autonomia regionale per la semplice ragione che non è possibile neanche alcuna autonomia statale, né alcuna democrazia. Il recente accordo sullo spossessamento delle potestà fiscali e la loro messa sotto tutela delle istituzioni centrali europee (e quindi, in buona sostanza, della BCE, e quindi ancora, in ultima sostanza, delle spudorate oligarchie finanziarie che abbiamo ancora il coraggio di chiamare “i mercati”) fa pendant con i due recenti colpi di stato in Grecia e in Italia con i quali una casta inetta di politici ha venduto il Paese, il “nostro” Paese, in cambio del mantenimento di alcuni privilegi e di alcune rendite di posizione.
Ebbene in questo quadro io faccio una semplice catena di deduzioni logiche che mi porta a dire che l’unica soluzione per la sopravvivenza della Sicilia è soltanto la fuoriuscita unilaterale dall’Unione Europea, magari dopo un plebiscito e magari dopo un negoziato, ma che sia molto rapido e gestito con mano ferma e senza titubanze.

Da dove nasce questa catena di deduzioni che dice Lei?
Non è pensabile che la Sicilia sopravviva senza che detenga una qualche forma reale di autogoverno, poiché essa è un sistema economico equivalente a quello di una qualunque media nazione europea. L’unico possibile autogoverno che non metta in discussione l’unità politica dell’Italia, e quindi l’unico praticabile senza spargimento di sangue, è l’attuazione integrale e immediata dello Statuto del 1946. Ma lo Statuto del 1946, dopo il Trattato di Lisbona, e ancor piú dopo il recente accordo fiscale, non potrebbe che sopravvivere a brandelli, con l’aggravante che le poche decisioni in cui gli stati continuano a partecipare, sarebbero prese dall’Italia al posto nostro. In una parola l’Europa oggi equivale all’azzeramento della nostra Autonomia e allora bisogna scegliere: o schiavi in Europa o liberi in Sicilia e fuori dall’Europa. Io consiglio vivamente la seconda opzione. Poi…

Ma, sa, a sentirla, con tutte le titubanze che ci sono sullo Statuto, potrebbe venire anche di gettare la spugna. Dicono che i Siciliani non sappiano autogovernarsi, che vogliono privilegi oggi insostenibili, che comunque il dispositivo di questo Statuto sia vecchio. Insomma, saremmo uno scandalo al sole e lei difende l’idea dell’Autonomia sino al punto da volerla difenderla a prezzo di un incredibile isolamento?
Ancora con questi luoghi comuni? Ma per favore! I Siciliani che non sanno autogovernarsi sono quelli che hanno affidato per mezzo secolo ai partiti italiani la loro regione pseudo-autonoma. Mi trovi una regione autonoma in Europa, anzi nel mondo, che possa funzionare con gli stessi partiti che stanno al centro. È quello il controsenso. Poi, è vero, talvolta la lettera dello Statuto è “vecchiotta”, ma lo spirito, in ogni sua parte, è chiarissimo ed attuale. Si tratta di adattare agli istituti attuali un rapporto radicalmente confederale senza fare marcia indietro su alcun punto di quell’impianto originale, che mantiene tutta la propria validità. Ancora, non voglio proprio sentire parlare di privilegi: con lo Statuto che l’Italia non ci ha fatto mai applicare, non chiediamo piú niente a nessuno, tranne la perequazione infrastrutturale. O anche questa è un privilegio? Ci si deve decidere: o siamo italiani, e allora avere pari infrastrutture è un nostro preciso diritto, o non lo siamo, e allora non solo di autonomia, ma di indipendenza a questo punto si deve parlare. Quanto all’isolamento è solo una leggenda metropolitana. Piú autonomi si è, piú ci interfacciamo direttamente con il mondo esterno, meno sequestrati dal mondo siamo.

Ma come funzionerebbe nel concreto quel che propone?
Semplice, usciamo dall’Unione e da tutti i suoi obblighi, mantenendo a termine la legislazione per evitare il caos. Niente piú direttive e regolamenti che si applicano automaticamente, niente piú criteri di convergenza e patti di stabilità, niente piú corridoi europei o obblighi di fusione del nostro mercato nel grande mercato continentale che ci vede per forza soccombenti: forse al limite si potrebbe pensare anche ad una revoca dell’unione doganale e la creazione di una zona franca di libero scambio al centro del Mediterraneo. In realtà, se c’è buona volontà dalle altre parti, penserei ad un accordo simile a quello della Norvegia, non a caso anch’essa produttrice di petrolio, cioè dentro lo Spazio Economico Europeo e Schengen, ma fuori da tutto il resto, Eurozona inclusa ovviamente. Anche se su questo punto il discorso è un po’ complesso.

Ma è tecnicamente possibile? Facciamo parte dell’Italia.
E sulle materie che spettano all’Italia, dalla grande politica estera alle guerre, non metteremmo naso. Anche se lo Statuto – va ricordato – persino su queste materie ci concede un diritto di proposta. Quindi, tutt’al piú diciamo la nostra, ma lasciamo fare al Paese di cui facciamo parte. Se l’Italia su queste materie, o su quelle comunque statali, come i codici civile, procedurali e penale, vuole delegare in tutto o in parte le proprie funzioni all’Europa, su quelle, solo su quelle, seguiremo l’Europa anche noi, ma perché in essa vedremmo l’equivalente dello Stato italiano. Su tutte le altre materie no, decisamente no! Sulle competenze siciliane l’Italia non può, non avrebbe mai potuto, delegare materie che non erano di sua competenza alle istituzioni europee. Sulle materie a noi riservate dall’Autonomia del 1946, decidiamo noi e basta!

E cosí non moriremmo di fame?
Solo se avessimo un’economia da esportazione di prodotti finiti siciliani in Europa. Oggi abbiamo soltanto un’economia di rapina. Le nostre risorse, in buona sostanza, sono degli altri, che le comprano a quattro soldi. Domani dovrebbero pagarle. Non possono fare a meno delle nostre risorse energetiche né della nostra posizione geografica. E anche a beni culturali e ambientali, se li sfruttiamo bene, siamo messi proprio bene. Siamo in una posizione di forza e di monopolio, ma dobbiamo essere al di fuori del raggio d’azione della Commissione, della BCE e di altri strozzini di professione.

Insomma propone le stesse cose della Lega?
Ma io dico per davvero, non per acchiappare voti. Del resto per la cosiddetta “Padania” va detto che non è cosí facilmente separabile dall’Europa. Si tratta di due cose completamente diverse. E, con l’occasione, mi lasci dire una cosa. Tutto questo va fatto per salvare la democrazia e la libertà, anche quella di mercato, quella vera intendo. Quello che mi preoccupa nella deriva di questi mesi è che gli unici avversari dell’anarco-liberismo usurocrate imperante, travestito da liberalismo, non siano veri liberali e democratici, ma, di volta in volta, comunisti ortodossi, nazifascisti, nostalgici dell’antico regime, fanatici religiosi, e altri poco credibili nemici della modernità. E invece siamo noi gente comune che ci dobbiamo ribellare, non solo in Sicilia, e pur sempre nel nome di quei valori che sono scritti nella Costituzione repubblicana, vero monumento di civiltà giuridica che stiamo archiviando un po’ troppo in fretta.

Chi ci guadagna in sostanza da questa proposta in Sicilia?
In una battuta? Tutti quelli che oggi protestano piú fortemente, ma anche i tanti infelici che non hanno piú nemmeno la forza di protestare. Gli studenti che assaltano le banche sappiano che, con una nostra banca pubblica e regionale, la moneta emessa sarà sociale e gli istituti di credito con sede in Sicilia saranno assoggettati ad un nuovo regime etico, piú vicino all’uomo e lontano dalla speculazione globale. I produttori e i coltivatori oggi affamati dal brokeraggio globale sappiano che i loro prodotti arriveranno nei supermercati siciliani e saranno competitivi sul mercato esterno. Insomma, coltivare i campi o fare impresa, diventerà finalmente conveniente. Gli autotrasportatori pagherebbero finalmente meno il carburante, ma cosí anche tutti noi. Con la defiscalizzazione che ci potremo permettere attireremo investimenti e occupazione. Gli imprenditori pagheranno meno tasse, gli studenti e i giovani troveranno lavoro in Sicilia, i pensionati e i lavoratori dipendenti avranno una busta paga piú pesante. Insomma ci guadagneremmo tutti, tranne gli speculatori esterni e qualche potere forte nazionale.

Ma non è una proposta un po’ “separatista”? Non potrebbe proporre, come fanno in tanti oggi, più semplicemente l’uscita dell’Italia intera dall’Eurozona o addirittura dall’Unione Europea?
In tanti? Veramente mi sembra che, a parte alcune voci eccentriche, l’attuale governo, direttamente nominato dall’Europa, cioè dai soliti “mercati”, abbia al più qualche fronda ma pochi veri dissensi. Veda, l’Italia non è solo “troppo grande per fallire”, è anche “troppo grande per uscire” dall’Europa. La sua uscita sarebbe un cataclisma al quale né l’Europa, né l’Euro sopravviverebbero, e con queste, con ogni probabilità nemmeno il mondo occidentale come lo abbiamo conosciuto sinora. Per la Sicilia, invece, è molto diverso: si tratta di una regione transfrontaliera e insulare, una marca di confine che può e deve ritagliarsi condizioni particolari se è nel proprio interesse, senza che questo traumatizzi l’economia mondiale. Diversamente, se siamo cosí importanti e centrali, allora facciamola valere questa centralità una volta per tutte nei tavoli che contano, anziché essere dileggiati e umiliati un giorno sì e l’altro pure.

Potrebbe comunque restare un po’ odioso agli altri italiani il fatto che i Siciliani tentino una via di fuga da soli…
Non credo le cose stiano così. Se la Sicilia esce dall’Unione Europea va incontro ad un vero e proprio boom economico che presto dovremmo decidere addirittura di raffreddare. Questo contagerebbe immediatamente il vicino Sud Italia, con la definitiva sconfitta della sempiterna Questione Meridionale. Per l’Italia tutta sarebbero maggiori redditi tributari, sia per quei pochi che dalla Sicilia prendono la via del Continente, sia per quelli prodotti nel Sud, senza parlare della vicinanza di un nuovo mercato in espansione. Una vera frustata di salute all’economia del Paese. Tutto ciò le sembra poco? Certo, se la sudditanza semicoloniale del Sud, o il dualismo strutturale dell’Italia, devono essere assunti come dogmi, allora il tutto può sembrare eversivo. Ma di eversivo oggi vedo la continua discriminazione dei Siciliani che, da 150 anni, sono cittadini di serie C, persino dietro quelli di serie B del Centro-Sud.
In ogni caso non resta improponibile che una semplice Regione possa uscire dall’Unione?
Guardi che non saremmo la prima. Già la Danimarca, che conta due regioni a statuto speciale, lí si chiamano “Contee”, le ha viste uscire entrambe, una dopo l’altra, dall’Unione. La Groenlandia, che è rimasta “PTOM”, cioè appartenente ai “paesi e territori d’oltremare”, associati all’Europa con un regime di scambi “post-coloniale”, o forse dovrebbe dirsi “neocoloniale”, piú o meno come le ex-colonie europee, oggi chiamate ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico). Ma anche le Faer Oer, che sono uscite del tutto e senza tanti complimenti. Ci sono le Isole del Canale e l’Isola di Man, formalmente piccole corone in unione personale con il Regno Unito, di fatto sue piccole regioni a statuto speciale, che nell’Europa non sono mai entrate, come Gibilterra, del resto. E si potrebbe continuare: ci sono le regioni “ultraperiferiche”, che stanno dentro ma solo a metà, come le Canarie ad esempio, che sono fuori dalla linea doganale europea; poi ci sono eccezioni fiscali di ogni sorta, per regioni insulari come la Corsica, o di montagna come il Galles, o transfrontaliere o artiche. A quanto pare l’unica regione derelitta per cui non è possibile alcuna deroga in modo assoluto sembra essere proprio la Sicilia.
Vuole dire che in questa Europa la legge “non è uguale per tutti”?
Certo che no. Quando, tempo addietro, la Sicilia tentò di usare l’autonomia fiscale scritta nel suo Statuto, che è legge costituzionale, il Commissario Mario Monti bloccò ogni iniziativa in tal senso, bollandola come “aiuto di stato”. Ora che simili potestà sono accordate a regioni come la Navarra o la Catalogna o la Scozia, ovviamente non parla nessuno. Tutti i cittadini europei saranno eguali davanti alla legge, ma di certo i Siciliani lo sono meno degli altri.
E con la moneta come la mettiamo?
Beh, tanto per cominciare la Sicilia potrebbe accontentarsi di emettere una moneta complementare regionale, che però abbia valore legale all’interno del suo territorio, in doppia circolazione con l’euro. Questa moneta, emessa da una Banca Centrale Regionale in totali mani pubbliche, ed emessa totalmente a beneficio del Governo siciliano, emanciperebbe da sola la Sicilia dallo strozzinaggio europeo. Per liberarci del tutto dell’Euro, invece, o del “pizzo” del Dollaro per gli scambi internazionali, i tempi non mi sembrano maturi. La Sicilia oggi è ancora debole, e forse deve accettare i compromessi di una sovranità limitata. Nondimeno l’Italia ha il dovere restituire alla Sicilia le riserve auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e da quelle si deve ripartire per costituire delle riserve auree e valutarie autonome, con le quali cominciare a giocare la nostra piccola partita, di stato regionale autonomo, peraltro come già previsto dallo Statuto del 1946, che voleva proprio che la Sicilia gestisse in autonomia le proprie riserve.

Ma cosí perdiamo i fondi FAS e in genere tutte le misure strutturali dell’Europa.
Che in tanti anni hanno creato solo assistenzialismo e mai vere infrastrutture allo sviluppo. Del resto l’intermediazione italiana su questi fondi si è rivelata cosí pesante da renderli del tutto vani. Credo però che sarà interesse dell’Europa, almeno in parte, negoziare con noi alcuni aiuti di carattere infrastrutturale sotto forma di cooperazione allo sviluppo, esattamente come si fa con i paesi decolonizzati. Con la differenza che ancora noi ci dobbiamo decolonizzare. È del tutto inutile fingere di essere in Assia, quando siamo praticamente nel Maghreb; rischiamo di restare sospesi con il peggio di entrambe le condizioni: quella di essere e quella di non essere in Europa.
Insomma una Sicilia italiana ma non piú europea. Pensa che i Siciliani sarebbero d’accordo?
Italiana, nel senso di regione veramente autonoma, e non solo sulla carta o per i privilegi dei deputati dell’ARS, sì. E non piú europea, proprio così, almeno nel senso della sudditanza all’Unione. Vorrà dire che come gli inglesi diremo che “Il Continente è isolato”. Ma, quanto al consenso dei siciliani, se ci facciamo un giro per i mercati o i bar a chiedere che cosa ne pensano dell’Euro, e dell’attuale governo, credo che questa uscita sarebbe acclamata a furor di popolo. Poi, ad ogni modo, ho detto che ci vuole un referendum, anzi un plebiscito. Chi ha paura di ricorrere al voto popolare per sapere cosa pensano i siciliani?
Quindi via dall’Europa, senza rimpianti?
Senza neanche pensarci due volte, questa Europa per noi è come appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile. Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo in tripla A, davanti agli USA.
E delle bandiere europee che sventolano dappertutto che ne facciamo?
Non me lo faccia dire esplicitamente, credo di rischiare qualche reato.
E il Presidente della Repubblica? E quello del Consiglio? Ci rimarrebbero male.
Se ne faranno una ragione. Ricordi il Presidente che ad accoglierlo in Sicilia ci sono state solo bandiere siciliane e che ancora non ha risposto ad un pubblico appello di cittadini che gli chiedevano com’era andata a finire con l’applicazione dello Statuto.
Un’ultima osservazione. E se per colpa nostra l’Italia andasse in default e con essa cadesse l’Europa intera?
Ma che dice? Che l’Europa sta in piedi per miracolo e che se togliamo la pietruzza della Sicilia da sotto crolla tutto? Suvvia. Non ci sopravvalutiamo. Comunque, se cosí fosse, vorrebbe dire che stanno vivendo alle nostre spalle. Ci faremo una ragione anche di questo evento. Il sole l’indomani sorgerà, e forse sarà ancora piú radioso, rispetto a questo euroincubo.

Di Antonella Sferrazza (BlogSicilia)

Commenti

Post popolari in questo blog

Unicredit e Generali speculano sul cibo e le terre agricole

Forza Passera!

A rischio il comizio di Grillo a Palermo. Negata la piazza