Ortofrutta, patto di ferro Casalesi-mafia: mandati d'arresto per Sandokan&Riina jr
CASERTA - Mafia e Casalesi uniti con lo stesso obiettivo, avere il monopolio del trasporto su gomma al Sud e controllare parte importante del commercio di ortofrutta, quella che si svolge sull'asse Sicilia-Campania-Lazio. Tra i sei destinatari dei mandati d'arresto dell'operazione di polizia e Direzione investigativa antimafia ci sono anche Nicola Schiavone, figlio di Sandokan e Gaetano Riina, fratello minore del capo dei capi, Totò. Gli agenti hanno dato esecuzione oggi, venerdì, alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Napoli. I reati contestati sono associazione mafiosa, illecita concorrenza, intestazione fittizia di beni e traffico di armi. Uno degli arrestati sarebbe stato segnalato nell'ambito della protesta dei «forconi» in Sicilia su cui il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, aveva lanciato un allarme parlando di infiltrazioni mafiose.
Gaetano Riina |
IL PROCESSO E LE 30 CONDANNE - Tra gli arrestati ci sono i fratelli Antonio e Massimo Sfraga, ritenuti vicini al boss latitante Matteo Messina Denaro e imputati nel processo sui rapporti tra mafia e camorra conclusosi oggi, 27 gennaio, con 30 condanne per il rito abbreviato. Il gup Antonio Cairo gli ha inflitto tre anni per il solo reato di concorrenza illecita aggravata dal metodo mafioso, mentre a 14 anni di reclusione ha condannato Costantino Pagano, titolare di un'importante azienda di trasporti su gomma controllata in realtà dai Casalesi e accusato di associazione camorristica, concorrenza illecita, traffico d'armi ed intestazione fittizia di beni. Il rito abbreviato era stato scelto da 40 delle circa 60 persone coinvolte nell'inchiesta di cui è titolare il pm Cesare Sirignano.
L'«ELDORADO» DELL'ORTOFRUTTA - Con Schiavone, Riina e i fratelli Sfraga sono finiti in manette anche Carmelo Gagliano, 45enne di Marsala e Pasquale Coppola, 24 anni, di Brusciano. Le indagini hanno evidenziato l'alleanza strategica tra il clan casertano e gli imprenditori siciliani organici alla cosca Riina-Messina Denaro per mettere le mani sull'«Eldorado» dell'ortofrutta nel Meridione. Il fine ultimo del patto di ferro tra mafia e camorra, infatti, era quello di conquistare il controllo delle tratte dei camion da e per i mercati siciliani verso quelli campani e verso lo strategico mercato di Fondi-Latina.
IL CONTROLLO SUI PADRONCINI - L'accordo con la mafia siciliana consentiva di fatto a Pagano di controllare per conto dei Casalesi tutti i padroncini e le piccole imprese di trasporti campane, siciliane e calabresi, che intendevano lavorare sulla stessa tratta. Gli ordinativi dei commercianti convergevano su «La Paganese». Una parte di questi venivano espletati con i mezzi della ditta e un'altra parte veniva distribuita, a propria discrezione, fra i piccoli trasportatori che, però, erano costretti a pagare una provvigione. Così facendo venivano moltiplicati gli utili mantenendo il controllo capillare di tutte le attività dei mercati posti sotto il controllo delle cosche.
L'INCONTRO IN SICILIA - L'offerta di collaborazione tra le due mafie fu «formalizzata» nel corso di un incontro in Sicilia al quale presero parte Costantino Pagano per conto di Schiavone jr, i fratelli Sfraga, Gaetano Riina e Carmelo Gagliano, titolare a sua volta di una ditta di trasporti trapanese. I rapporti tra la ditta «La Paganese» - e quindi i Casalesi - e Gaetano Riina sono confermati dalle intercettazioni ambientali effettuate durante le indagini negli uffici della società dove, in una circostanza, emerse la presenza della figlia di Gaetano Riina.
IL TRAFFICO DI ARMI DALLA BOSNIA - L'imponente flotta di autoarticolati, costituita da centinaia di automezzi, era anche al servizio di altre attività del clan dei Casalesi. Tra queste il traffico di armi: un micidiale arsenale, costituito da mitra AK 47 Kalashnikov, mitragliatori pesanti Breda, lanciarazzi e migliaia di munizioni fu sequestrato dalla squadra Mobile di Caserta nel luglio 2006. Un acquisto commissionato da Costantino Pagano per conto del gruppo «Del Vecchio» degli Schiavone. Secondo le indagini, le armi erano state importate dalla Bosnia grazie alla complicità di militari che vi prestavano servizio nel corso delle missioni di pace effettuate dopo il conflitto nell'ex Yugoslavia, utilizzando per il trasporto gli stessi mezzi dell'esercito.
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